Hiram Ulysses Grant nacque a Point Pleasant (Ohio) il 27 aprile 1822: suo padre, Jesse Root Grant, nato in Ohio, discendeva da puritani inglesi con una grande famiglia fra Ohio e Kentucky, era un mercante e conciatore di pelli, mentre invece sua madre, Hannah Simpson, era nata in Pennsylvania e discendeva da una famiglia di protestanti scozzesi e irlandesi. La famiglia di Grant aveva delle importanti ascendenze militari: suo nonno, Noah Grant, aveva servito con valore nel corso della Rivoluzione americana, e i bisnonni avevano combattuto nella guerra franco-indiana. Jesse e Hannah Grant erano di fede metodista, ma a differenza degli altri fratelli e sorelle il futuro generale e presidente non fu mai obbligato a frequentare la chiesa, e già un anno dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Georgetown, Ohio, dove nacquero gli altri suoi cinque fratelli e sorelle. Lì Grant iniziò a frequentare la scuola (scuola privata) e a sviluppare una certa predilezione per l’equitazione (poiché non gli piaceva lavorare nella sua conceria, Jesse Grant pensò di indirizzare il suo primogenito verso il trasporto equino di merci e persone al servizio della conceria). Pare che fino a tutta l’adolescenza Grant non abbia mai avuto la benché minima inclinazione politica: nella primavera del 1839 Jesse Grant scrisse al deputato democratico dell’Ohio Thomas L. Hamer per chiedergli di assicurare al figlio diciassettenne un posto presso la prestigiosa Accademia Militare di West Point (non aveva mai brillato negli studi e la vita militare gli era piuttosto indifferente: gli piacevano davvero soltanto i cavalli). Grant fu accettato all’Accademia nel luglio del 1839, e in settembre diventò ufficialmente il cadetto “U.S. Grant” (la sigla “U.S.” gli valse non poche ironie poiché era subito ricondotto all’Uncle Sam). Col tempo il futuro presidente si abituò all’Accademia e alla vita militare, prese un certo gusto nella lettura e nello studio e si consolidò la fama di essere un ottimo cavaliere (ma era un tipo tranquillo e taciturno, di poche parole, oltretutto era anche mingherlino). Grant si diplomò a West Point il 30 giugno 1843 classificandosi ventunesimo nella sua classe; fu congedato col grado di sottotenente. Pensò di passare soltanto pochi anni nell’Esercito, pensando di andare magari a insegnare dopo, e a dispetto della propria eccellente reputazione di cavaliere fu destinato al Quarto reggimento di Fanteria, distaccato presso il forte di Jefferson Barracks, vicino a St.Louis (Missouri): era la più grande base dell’Esercito nel West, ancora all’inizio della sua fase della “febbre dell’oro”, ma Grant non vedeva l’ora di lasciare sia il forte sia l’Esercito. In Missouri Grant iniziò a frequentare la famiglia di un vecchio compagno di studi di West Point, Frederick Dent, che era originario di quelle zone, e si innamorò di sua sorella, Julia Dent, con cui si fidanzò nel 1844 e si sposò il 22 agosto 1848 nella casa della famiglia di lei St.Louis in uniforme, alla presenza di altri amici ed ex compagni di West Point. I Dent possedevano degli schiavi e la cosa non piacque per nulla a Jesse Grant, convinto abolizionista. I Grant ebbero quattro figli: Frederick, Ulysses Jr (detto “Buck”), Ellen (detta “Nellie”), e Jesse. Con l’inasprirsi delle tensioni fra Messico e Stati Uniti relativamente all’annessione del Texas, nel 1846, Grant partecipò in qualità di luogotenente alla sua prima vera battaglia, quella di Palo Alto dell’8 maggio 1846, ma fu soltanto con la battaglia di Resaca de la Palma e con quella di Monterrey che fu realmente coinvolto sul campo e dimostrò il suo valore di soldato e cavaliere e fu promosso tenente. Nel corso della guerra col Messico Grant non solo dimostrò di essere un ottimo soldato ma iniziò anche a studiare le tattiche dei suoi generali (e anche loro futuri presidenti) Zachary Taylor e James Polk. Grant imparò e osservò che cos era la leadership militare e come si conducevano e vincevano le battaglie letteralmente sul campo. Dopo la guerra col Messico Grant fu destinato prima a Detroit, poi al forte di Madison Barracks, nello Stato di New York, con la corsa all’oro nel West, Grant fu mandato in un piccolo e sperduto forte in California, poi a Panama (il suo compito era trasportare e vigilare sulle centinaia di civili e militari che andavano da New York a Panama) e infine in un altro forte di frontiera nell’Oregon, dove Grant si occupava di “vigilare” sugli indiani americani. Il 5 agosto 1853 Grant fu promosso capitano e fu assegnato alla Quarta compagnia di fanteria di stanza a Fort Humboldt, California: poiché la famiglia non lo aveva seguito, Grant si trovava da solo, lontano dalla propria famiglia, e iniziò a bere molto, ad avere scoppi d’ira sempre più frequenti e incontrollati, era spesso anche violento e fuori di sé, al punto che il suo superiore, il colonnello Buchanan, lo avvertì che se avesse continuato a comportarsi in quel modo sarebbe stato espulso dall’Esercito. Grant allora rassegnò le proprie dimissioni ma poiché Buchanan non verificò mai davvero quanto Grant affermava, per cui Grant non comparì mai davanti alla Corte marziale e, senza nessun tipo di buonuscita da parte dell’Esercito nel 1854, a trentadue anni, tornò a St.Louis dalla famiglia, senza nessuna prospettiva lavorativa. Fu l’inizio di sette anni di grandi difficoltà finanziarie, instabilità e precarietà personali: Jesse Grant offrì al figlio, per risollevarlo, di venire a lavorare con lui nella ditta di famiglia a Galena (Illinois), ma a condizione che si separasse ancora dalla famiglia, che sarebbe andata o dai Dent in Missouri o dai Grant del Kentucky. Tuttavia Grant, che aveva passato già troppi anni separato dalla famiglia, rifiutò l’offerta per cui per i quattro anni successivi lavorò come bracciante a fianco dello schiavo dei Dent nella proprietà del cognato a St.Louis, ma poiché non guadagnava abbastanza, si mise anche a vendere legna da ardere. Nel 1856 i Grant si trasferirono nella proprietà che il padre di Julia Grant aveva regalato alla figlia e al genero al momento delle loro nozze, che era molto poco produttiva e che si trovava in un villaggio del Missouri che oggi è noto come Grantwood Village (ed è monumento nazionale). Ulysses e Julia Grant allora si misero a lavorare la terra, non se la passavano affatto bene ma almeno avevano da mangiare. Nel corso della grande crisi finanziaria del 1857 (che fra l’altro fece fallire moltissime attività come la loro) i Grant dovettero vendere al banco dei pegni quel poco oro che possedevano, e nel 1858 decisero di affittare la loro proprietà e di andare a vivere dal suocero, ma le difficoltà non erano ancora finite e nell’autunno 1858 Grant si ammalò seriamente di malaria, per cui decise di finire la propria attività di contadino per iniziarne una nuova: prima (anche se non era mai stato uno schiavista) comprò da suo suocero uno schiavo, poi siccome appunto non aveva mai creduto nella schiavitù lo liberò con un pretesto e avviò col cugino di sua moglie, Henry Boggs, un’attività di recupero crediti, ma ancora una volta l’imprese di Grant non ebbero successo. Julia Grant intervenne per costringere il marito a terminare le imprese col cugino, allora Grant pensò di far domanda per un posto di lavoro sicuro nella contea, accumulò anche un buon numero di raccomandazioni per quel posto che però non gli fu concesso per ragioni politiche (la commissione che doveva decidere, che era Repubblicana, credeva che Grant condividesse le posizioni Democratiche e antischiaviste di suo suocero; alle elezioni presidenziali del 1856 Grant votò il candidato democratico James Buchanan ma poi, per salvare le apparenze e sperare di poter lavorare nella contea, disse di aver votato il repubblicano John Freemont). Nel 1860 i Grant si trasferirono a Galena (Illinois): il futuro presidente aveva deciso, non avendo trovato nient’altro, di accettare la vecchia offerta del padre di andare a lavorare nella ditta di famiglia gestita dai suoi due fratelli minori, Simpson e Orvil, e così in pochi mesi poté ripagare i debiti e integrarsi davvero in una comunità cittadina con la propria famiglia accanto. Grant non poté votare per le presidenziali del 1860 perché non era ancora ufficialmente residente in Illinois, ma simpatizzò per il candidato democratico Stephen Douglas, non per Abraham Lincoln (che vinse quelle elezioni). Grant era diviso fra le proprie idee abolizioniste e il fatto di avere una moglie e una parte della sua famiglia che erano dei convinti schiavisti.

Allo scoppio della Guerra Civile, il 12 aprile 1861, Grant era sinceramente preoccupato del precipitare della situazione, e così, quando il presidente Lincoln chiamò a raccolta tutti coloro (e necessitava di migliaia di uomini) che erano disposti ad arruolarsi come volontari, decise di tornare a vestire la divisa, non volendo più tornare a lavorare nella conceria di famiglia essendo anzi deciso a far valere il proprio vecchio status di servizio. Fu così che Grant tornò nell’Esercito agli ordini dei generali George McClellan e Nathaniel Lyon. Alla fine di aprile 1860 Grant fu promosso, grazie alla raccomandazione del deputato dell’Illinois Elihu Washburne, alla carica di aiutante di campo del generale Richard Yates, e iniziò a comandare dieci battaglioni della milizia dell’Illinois. A inizio del giugno del 1860 Grant fu promosso colonnello e andò a comandare il Ventunesimo reggimento volontario di fanteria dell’Illinois, in cui riportò l’ordine e la disciplina e con cui fu mandato in Missouri per combattere i confederati. Nell’agosto 1860 Grant fu promosso generale di brigata e il generale John Freemont, il comandante generale dell’Esercito dell’Unione per l’Ovest, inviò Grant come comandante generale dell’Esercito nell’area del Missouri sudoccidentale. In settembre Grant tornò in Illinois per sostituire il generale Oglesby e per riorganizzare l’azione militare dell’Esercito in Mississippi, Kentucky e Tennessee (Grant non solo stava facendo una carriera piuttosto straordinaria e veloce ma ormai era famoso per essere un uomo e un soldato duro, forte, audace, ma anche uno stratega e organizzatore molto abile). Quando i confederati si mossero verso il Kentucky Grant, senza avvertire o chiedere il permesso a Freemont, decise da solo di avanzare verso Paducah (Kentucky), dove iniziò a combattere all’inizio di settembre 1860, e anche se otteneva degli importanti risultati restava un uomo e un soldato con la fama di non essere del tutto “affidabile” per cui Freemont, nel novembre di quell’anno, gli ordinò di attestarsi lungo le rive del Mississippi ma di non attaccare da solo i confederati.

Quando Lincoln rimosse Freemont dal comando il 2 novembre 1861, Grant si sentì libero di attaccare da solo i confederati accampati a Camp Girardeau (Missouri): il 7 novembre Grant ingaggiò coi confederati la battaglia di Belmont, pareva che gli unionisti avessero la meglio ma l’intervento dei generali confederati Frank Cheatham e Gideon Pillow costrinse Grant e i suoi uomini a ritirarsi. Grant prese le roccaforti confederate di Belmont (Missouri) e Columbus (Kentucky) ma non riusciva ancora ad assestare un colpo definitivo alla Confederazione, e per quanto si sia dovuto ritirare da Columbus (e sia dovuto tornare in Illinois) anzitutto i volontari che comandava avevano guadagnato molta esperienza, e poi Lincoln ormai aveva capito che Grant era un comandante certo, alle volte troppo impulsivo, ma comunque molto forte, valido e soprattutto un fine stratega. Grant e il generale McPhearson pianificarono di oltrepassare il forte di Columbus, poi di oltrepassare Fort Donelson (sul fiume Cumberland), aprendo così un accesso verso Sud per l’Unione. Grant presentò il piano a Henry Halleck, il comandate unionista della zona del Missouri, il quale gli disse che anche lui aveva considerato la cosa, alla fine pareva rigettare il piano ma poi acconsentì soltanto a patto che Grant consultasse l’ammiraglio Andrew Foote, il quale avrebbe dovuto bombardare con le sue navi Fort Henry (che capitolò il 6 febbraio 1862). Poi Grant ordinò l’assalto a Fort Donelson, il quale a differenza di Fort Henry però disponeva di una forza militare pari alla sua. i generali McClernand e Smith iniziarono ad attaccare il forte da soli, e Foote l’avrebbe bombardato, ma l’Unione si trovò ancora una volta in una posizione di svantaggio, e soltanto l’arrivo dei rinforzi e di ulteriori munizioni impedì l’esito peggiore. Grant e Foote attaccarono di nuovo il forte, e nel mezzo della battaglia Grant a cavallo tornò indietro dai suoi comandanti, facendosi più di sette miglia in sella, fra fossi e strade ghiacciate, pur di riportare loro le ultime notizie. Il 16 febbraio Foote riprese a bombardare, dando così il segnale per la ripresa dell’attacco generale unionista al forte. I generali confederati Pillow e Floyd allora si arresero, diedero il comando del forte Simon Bolivar Buckner il quale si arrese incondizionatamente a Grant. Era la prima vera grande vittoria dell’Unione, che così catturò in un sol colpo ben dodicimila soldati unionisti. Ancora una volta però Grant fu accusato di essere un comandante inaffidabile, iroso, rissoso, negligente, al punto che Halleck si lamentò di lui con McClellan, dicendo non solo che Grant era inaffidabile perché continuava a bere troppo, ma anche fra l’altro che nel bel mezzo delle operazioni non aveva mai avuto notizie (telegrammi) da Grant. Lincoln non solo non si curò di tutte queste accuse ma addirittura promosse Grant a generale dei Volontari, e la stampa unionista iniziò a lodarlo come un vero e proprio eroe (iniziò a essere chiamato “Unconditional Surrender Grant”, cioè “Resa incondizionata Grant”). Con forze di gran lunga maggiori a prima Grant poté tornare meglio di prima all’attacco della Confederazione (l’Unione riteneva che con un’altra battaglia come quella di Fort Henry avrebbe potuto vincere la guerra). Il grosso delle truppe si concentrava a Pittsburg Landing (sulle rive del fiume Tennessee) mentre circa quarantamila confederati si trovavano a Corinth (Mississippi): il generale William Tecumseh Sherman assicurò Grant che le sue truppe erano pronte, lui concordò e comunicò a Halleck che erano pronti ad attaccare i confederati proprio a Corinth, ma Halleck ancora una volta fermò Grant costringendolo a temporeggiare (nel mentre lui costruì un’importante serie di forti e difese lungo i fiumi Tennessee e Owl Creek, e preparò un attacco di pari portata contro i confederati) fino all’arrivo dei rinforzi del generale Don Carlos Buell. Proprio l’immobilità dell’Unione che Grant non aveva mai voluto determinò la possibilità per la Confederazione di attaccare per prima, prima che Buell arrivasse. La mattina del 6 aprile 1862 Grant fu sorpreso dall’attacco dei generali confederati Johnston (che fu ucciso nella battaglia) e Beauregard nei pressi di Shiloh, e poi fu sospinto di nuovo verso il fiume Tennessee: gli uomini di Grant per varie ore tennero impegnati i confederati, poi presso una località chiamata “il Nido del Calabrone” (“Hornet’s Nest”) avvenne quella che poteva essere la fine degli unionisti: i confederati sfondarono le loro linee ma quella che era nota come “l’ultima linea di Grant” diede l’ultimo assalto ai confederati, ormai sfiniti, e li ricacciò indietro, e il giorno dopo, forte dei rinforzi arrivati, Grant tornò all’attacco e costrinse i confederati verso Corinth, e anche se aveva ribaltato la situazione, i confederati restavano in una situazione di grande forza, e praticamente non era cambiato nulla. Grant dopo Shiloh comprese che non sarebbe stato sufficiente vincere una battaglia per vincere la guerra, e che i confederati erano determinati a combattere; comunque è stato un fatto che dopo Shiloh l’avanzata della Confederazione verso il Mississippi e verso il West fu bloccata. Per aver duramente combattuto e aver sconfitto i confederati (seppur per poco) Grant tornò a essere un eroe, ma ben presto tornò a essere criticato e di nuovo per il suo problema con l’alcool, stavolta soprattutto dalla stampa nordista che l’accusava di essere ubriaco sul campo di battaglia (cosa che fu puntualmente smentita da chi gli era a fianco). Grant si lasciò abbattere dalle ennesime accuse che gli erano state mosse, voleva lasciare l’Esercito ma Sherman lo convinse a restare. Halleck arrivò da St.Louis a metà aprile, tolse il comando a Grant, lo lui il comando e lo affidò poi al generale George Henry Thomas dopo di che iniziò la lunga marcia verso Corinth, dove arrivò a fine maggio. Halleck poi divise quest’esercito “combinato” e reintegrò Grant come comandante generale dell’Esercito il 1 luglio 1862, e egli riprese a vincere (prima sconfisse i confederati a Iuka, Mississippi, poi assaltò Corinth, infliggendo pesanti danni ai confederati e per la fine di ottobre 1862 prese il controllo di tutto il Tennessee). A quel punto l’Unione si pose come obiettivo fondamentale il prendere Vicksburg, l’ultima grande città confederata lungo il Mississippi, perché avrebbe significato dividere in due la Confederazione, e assestarle un colpo forse mortale. Per guidare l’operazione dell’attacco a Vicksburg Lincoln non scelse Grant o Sherman ma scelse McClernand, ma Halleck, che aveva l’ultima parola sull’organizzazione e la disposizione delle truppe unioniste, pose McClernand sotto l’egida di Grant, il quale il 13 novembre 1862 catturò Holly Springs e avanzò verso Corinth. Il piano di Grant era attaccare Vicksburg da due direzioni: lui sarebbe arrivato da Sud, da Jackson, e avrebbe attaccato via terra, mentre Sherman avrebbe attaccato da Chickasaw Bluffs, e nel frattempo la cavalleria unionista avrebbe compiuto dei raid (11-20 dicembre 1862) per rompere le linee delle comunicazioni dei confederati, insieme ai sabotaggi di tanti civili. Tuttavia Sherman fu bloccato dall’attaccare direttamente Vicksburg dal generale John C. Pemberton, che assunse il comando e prese (indipendentemente da Grant) Fort Hindman. A quel punto Grant si trovò nell’inedita situazione (fino a quel momento) di “accogliere” fra le propria fila degli schiavi afroamericani fuggiti dai campi di cotone e dal possesso dei loro padroni, che stavano iniziando a scappare in numero sempre maggiore dalle piantagioni del Sud, per cui iniziò di fatto a “favorire” il contrabbando e le fughe dal Sud e a fornire armi e divise a questi nuovi arrivati (comunque l’Unione aveva cronico bisogno di uomini per combattere, dato che le vittime ormai erano migliaia su entrambi i fronti). Non solo, ma iniziava ad avere sempre più denunce riguardo ad alcuni speculatori ebrei del distretto militare (posto che la maggior parte degli speculatori non erano ebrei) e temendo la corruzione di molti suoi ufficiali con queste persone e magari anche con tanti affaristi del Sud che commerciavano cotone, decise, il 17 dicembre 1862, di emanare il controverso Ordine Generale Numero 11, con cui espelleva “gli ebrei come classe” dal suo distretto militare, ordine che fu replicato anche in altri distretti ma che Lincoln decise di revocare il 3 gennaio 1863 (e che Grant stesso ritirò giorni dopo). Il 29 gennaio 1863 Grant assunse il controllo generale, e aveva bisogno di tutto il supporto anche logistico possibile per assediare Vicksburg. Alla fine riuscì a oltrepassare il Mississippi, a far sbarcare le truppe a Bruinsburg, a catturare Jackson (la capitale dello Stato) finché Pemberton non riuscì a circondare Vicksburg per conto di Grant il 4 luglio 1863. Con la presa della città l’Unione non solo ne guadagnò in autoconvinzione morale ma assestò un colpo mortale alla Confederazione, perché di fatto la spaccò in due.

Lincoln dopo Vicksburg promosse Grant generale dell’Esercito regolare (non più “solo” dei volontari) e gli assegnò il comando nella neonata Divisione del Mississippi, che comprendeva le armate di Ohio, Tennessee e Cumberland. Dopo la battaglia di Chickamauga l’esercito del Cumberland si era ritirato in parte nei pressi di Chattanooga; Grant ci arrivò dopo un lungo viaggio, fra cavallo, treno e navi, e pensando di risollevare la città e potenziare l’esercito l’ di stanza, ancora prima del suo arrivo ordinò al generale Joseph Hooker (dell’armata del Potomac) di avvicinarsi alla città da Ovest e collegarsi con le altre unità militari della città catturandone i maggiori snodi, come Brown’s Ferry e la ferrovia di Bridgeport. Grant contava sull’armata del Tennessee di Sherman e sull’armata del Cumberland per assaltare la parte settentrionale di Missionary Ridge e prepararsi ad assaltare il fianco sinistro del nemico. Il 23 novembre 1863 il generale George Henry Thomas sorprese i confederati in pieno giorno e avanzò fino a controllare quella zona fra il fiume Chattanooga e il Missionary Ridge, ma il giorno dopo Sherman fallì nel prendere Missionary Ridge (che era il focus di tutta la strategia di Grant): il 25 Grant ordinò a George henry Thomas di venire in soccorso a Sherman. Quattro divisioni dell’armata del Cumberland impegnarono le armate confederate in un durissimo conflitto a fuoco e, contro gli ordini di Grant, continuarono a combattere al punto di respingerli. La battaglia di Missionary Ridge conferì all’Unione il controllo del Tennessee e aprì la via verso la Georgia, il cuore della Confederazione. Il 2 marzo 1864 Lincoln nominò Grant comandante generale di tutte le armate dell’Unione, un comando militare che prima di lui aveva detenuto soltanto George Washington e che gli conferiva il comando di più di mezzo milione di soldati. Grant stabilì il proprio quartier generale presso l’armata del generale George Meade, sul Potomac, e iniziò a concepire un piano d’attacco alla Confederazione su cinque fronti diversi. Il piano era così strutturato: Grant e Meade avrebbero comandato l’attacco frontale all’armata di Robert Lee in Virginia, Sherman (da quel momento in poi capo delle armate unioniste dell’Ovest) avrebbe attaccato l’armata del Tennessee di Joseph Johnston e avrebbe preso Atlanta, Benjamin Butler sarebbe avanzato verso Lee da Sudest lungo il fiume James, Nathaniel Banks avrebbe catturato Mobile e Franz Siegel si sarebbe impadronito dei magazzini e delle ferrovie nella fertile valle di Shenondoah, fra la Virginia e il West Virginia. Gli sforzi di Siegel e Butler fallirono, e così Grant si ritrovò solo a sferrare l’attacco decisivo a Lee.

A quel punto (maggio-giugno 1864) iniziò la cosiddetta “Overland Campaign”, cioè la Campagna via terra di Grant. Il 4 maggio 1864, in alta uniforme, Grant attraversò senza opposizioni di sorta il fiume Rapidan e il 5 maggio iniziò l’attacco a Lee nella battaglia di Wilderness, una battaglia che durò tre giorni e che provocò la morte di più di diciassettemila uomini dell’Unione e undicimila della Confederazione. Piuttosto che ritirarsi Grant (insieme a Meade) costrinse l’armata di Lee a Sudest in una località della Virginia nota come Spotsylvania, dove Lee rimase bloccato quasi due settimane e ricevette danni pesantissimi da Grant, il quale credeva di poter infliggere danni ancora più pesanti nel punto più “debole” della Confederazione, Cold Harbor, un fondamentale centro sulla via di Richmond: sarebbe potuta essere la distruzione totale e definita di Lee, e avrebbe incitato alla ribellione di tutto il Sud. Le linee di Lee si estendevano da Richmond a Petersburg, ma c’erano punti più sguarniti di altri, e Cold Harbor era uno di questi. L’1 e 2 giugno sia Grant che Lee stavano ancora aspettando rinforzi: gli uomini di Hancock marciarono tutta la notte per arrivare sul posto e così al mattino erano troppo esausti per combattere, così Grant per farli riprendere posticipò l’inizio dell’attacco fino alle cinque del pomeriggio, e poi fino alla nottata del 3 giugno, ma non diede ordini specifici per l’attacco e così ogni comandante fu lasciato libero nel decidere quando, dove e come attaccare i sudisti, e ciò Grant non sapeva che nottetempo Lee aveva rafforzato moltissimo la zona di Cold Harbor. Il mattino del 3 giugno Grant sferrò l’attacco ma anche se aveva forze di molto superiori a quelle di Lee non valutò bene né il luogo né la disposizione delle forze confederate (in parte nascoste dalla boscaglia). La battaglia fece riportare all’Unione un numero senza precedenti di vittime, e tutta la stampa unionista così iniziò a criticare moltissimo Grant, la gestione della guerra dell’Unione e a diffondere in generale sentimenti antibellicosi. Non localizzato da Lee, Grant si spostò verso il fiume James, e poi verso Petersburg, il maggior centro ferroviario della Virginia, mentre il risentimento dell’Unione cresceva sempre di più. Per attaccare subito Lee Grant si trovò costretto a usare le forze immediatamente disponibili, che stavano calando giorno dopo giorno: a fine luglio Grant pianificò di tagliare in due le linee nemiche riempiendo di tonnellate di dinamite un tunnel nei pressi di Petersburg: il cratere dell’esplosione fu immenso, e uccise tutto un battaglione confederato. Riscuotendosi dalla “sorpresa” un altro battaglione confederato, comandato da William Mahone, accerchiò il cratere e diede subito battaglia agli unionisti (per cui Grant ammise subito che il tentativo di minare una zona piuttosto vasta era stato un errore drammatico): fra l’altro era la prima volta che i soldati afroamericani unionisti prendevano parte a una battaglia nell’Est. Grant avrebbe poi incontrato Lincoln perché si sottopose a un’inchiesta contro i generali Burnside e Ledlie, e li accusò apertamente della loro incompetenza in quell’occasione e di una sconfitta disastrosa dell’Unione. Invece che attaccare direttamente Lee, Grant decise di impegnarlo a Sud e a Ovest di Petersburg e catturando al contempo tutti i maggiori snodi ferroviari della zona. L’Unione si impadronì della baia di Mobile e di Atlanta, controllando anche tutta la valle di Shenondoah (e così assicurando a Lincoln la rielezione alle presidenziali del novembre 1864). Sherman persuase Grant e Lincoln a lasciarlo andare a prendere Savannah: marciò per circa sessanta miglia distruggendo tutto quello che trovava, arrivò fino all’Atlantico e il 22 dicembre 1864 catturò Savannah (al contempo l’Unione era arrivata anche a Nashville). In tutto ciò Lee restava asserragliato a Petersburg, e a quel punto era l’unico vero ultimo ostacolo alla vittoria dell’Unione. Nel marzo del 1865 Lee si ritrovò intrappolato a Petersburg, con Grant ad appena trentacinque miglia di distanza e le proprie stesse truppe ormai apertamente ostili e infedeli al loro comandante. Il 25 marzo 1865, in un ultimo disperato tentativo di contrattaccare, Lee impegnò le truppe superstiti (circa quattromila uomini) a Fort Stedman, e fu l’ultima battaglia di Petersburg, un’altra grande vittoria unionista. Grant, Lincoln e altri generali unionisti il 28 marzo 1865 si riunirono per discutere già della “Ricostruzione” del Sud, e il 2 aprile 1865 Grant ordinò l’ultimo assalto alle truppe di Lee, il quale abbandonò Petersburg e Richmond (che il giorno dopo furono subito prese da Grant); un Lee ormai disperato tentò di ricongiungersi con l’esercito superstite di Johnston, ma la cavalleria di Sherman impedì loro di arrivare ai treni che erano arrivati in loro soccorso. Grant era in contatto con Lee già da prima che il suo aiutante Orville Babcock gli portasse il telegramma con cui gli chiedeva di arrendersi (e con cui gli comunicava anche le istruzioni per il loro prossimo incontro, che si sarebbe tenuto in un luogo che lo stesso Lee avrebbe scelto). Grant subito su recò verso Ovest, oltrepassò le truppe di Lee, e si unì a Sheridan ad Appomattox, tagliando così di fatto la via di fuga a Lee; mentre era ancora in viaggio ricevette da Lee il telegramma tanto attesto: si sarebbe arresto insieme al suo esercito. Il 9 aprile 1865 Grant e Lee si incontrarono nell’Appomattox Court House: dopo aver brevemente discusso dei giorni passati insieme, anni e anni prima, a combattere contro il Messico, Grant stilò i termini della resa di Lee: ci sarebbe stata un’amnistia. Lee accettò subito i termini della resa e firmò il documento e chiese soltanto che i suoi ormai ex soldati della Confederazione tenessero i loro cavalli (e Grant, da sempre appassionato cavaliere, acconsentì di buon grado). L’ultima armata confederata, quella di Kirby Smith, si arrese il 26 maggio 1865, ponendo ufficialmente fine alla Guerra civile.